domenica 2 novembre 2014




Come ogni anno ci ritroviamo qui in occasione della Festa delle forze armate e nel giorno che ricorda la riappropriazione di quelle terre italiane occupate dall'imperialismo austro-ungarico, riconquistate il IV novembre 1918, giorno dell'armistizio, che pose fine alla guerra che scoppiò un secolo fa e che rafforzò l'Unità d'Italia. 

Come dice Ermanno Olmi, col suo ultimo film "Torneranno i prati", che uscirà domani al cinema, la cultura del secolo passato spesso non è stata in grado di spiegare per che cosa sono morti i giovani nella Grande Guerra. Così è chiamata la guerra mondiale scoppiata il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell'Impero austro-ungarico al Regno di Serbia in seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo- Este. In parte Olmi ha ragione, soprattutto se parliamo della cultura politica del nostro passato. Però, sotto traccia, nelle piccole realtà, lontano dalle parate militari e dalle grandi manifestazioni, nell'Italia delle province, i nostri nonni hanno saputo testimoniare la loro esperienza, sopravvivono come carboni accesi sotto la cernere, i riti e le commemorazioni civili, come questa di oggi, che da quasi un secolo si ripetono. Ricordo personalmente quando da piccoli si veniva col freddo e qualche volta anche con la neve a portare la bandierina italiana in questo giorno. Sono azioni che si comprendono solo in età adulta. Così ancora oggi ci ritroviamo assieme per riflettere sui valori spesso dimenticati, ma che rimangono il pilastro della nostra esistenza di italiani, prima che di europei. Il nostro fare serve a riconfermare e affermare momenti e fatti degni di essere ricordati. Le pietre come le parole servono anche a ricordare. Questo nostro obelisco messo così, apparentemente, senza una preparazione culturale, un minimo di conoscenza, sembra una pietra per abbellire il nostro corso, ma sappiamo molto bene, e lo devono sapere soprattutto le nuove generazioni, che esso è il monito, l'insegnamento, l'esortazione a far sì che drammi di cui si è reso protagonista l'uomo possono succedere ancora e noi siamo qui per far Si che non avvengano più. Come pure sono il segno che ci obbliga a non arretrare rispetto all'usurpazione, da parte di forze estranee, della nostra dignità. In questo caso ci deve soccorrere la storia fatta di testimonianze e documenti. Ed è la storia che deve essere la nostra maestra. Per fare ciò, c'è bisogno non solo della profonda convinzione che tutto ciò è avvenuto, ma anche di una profonda formazione culturale su ciò che oggi sono i conflitti bellici, la guerra e in particolar modo il terrorismo. Spesso, coinvolti nei grandi sconvolgimenti sociali dei popoli del mondo, investiti da soffocanti crisi economiche e dalla diffusa illegalità, facciamo grande fatica a contenere l'idea della guerra nei nostri animi. Dimentichiamo spesso anche il senso della dignità umana. Cioè quel valore intrinseco e inestimabile di ogni essere umano: tutti gli uomini, senza distinzioni di età, per cui stato di salute, sesso, razza, religione, grado d'istruzione, nazionalità, cultura, impiego, opinione politica o condizione sociale meritano un rispetto incondizionato, sul quale nessuna "ragion di Stato", nessun "interesse superiore", o "Razza", o "Società", può imporsi. Spesso vediamo e sentiamo che facilmente si sfocia sia nel razzismo sia nella xenofobia, e il più delle volte, alcuni discorsi sono dettati più da una chiusura mentale o da una speculazione politica mediocre che dalla capacità di elaborare un modello sociale attivo in cui l'altro e il prossimo sono un nostro arricchimento e miglioramento. La solidità di questo monumento, dal lat. monumèntum, che deriva dal greco mnemeion, da monere cioè ricordare, ci deve ricordare sia la solidità e la solidarietà della nostra comunità sia il peso della vita scontata col sangue, sostanza di drammi inenarrabili, di corpi lacerati da bombe e abbandonati nelle trincee, di figli affidati alla Madre terra, di mogli, di madri e di amori dai cuori spezzati. L'altezza di questo obelisco, scelta dai nostri padri, pensiamo sia la spinta propulsiva di una comunità verso il domani, la cui stella pensiamo sia il bene dei nostri figli rappresentati dalle nuove generazioni accorse oggi qui con la scuola. 

È alla scuola, e soprattutto alle nostre famiglie, che noi affidiamo il compito difficile di trasmettere i valori che rappresentano il pilastro della nostra civiltà. Ma ricordiamoci, senza la condivisione di questi valori, siamo destinati al fallimento sociale e a non riconoscere quello per cui per esempio oggi ci ritroviamo qui. Tutto diventa un esercizio di autorappresentazione vuoto che ci disorienta e ci porta ad accettare la mostruosità dell'annullamento. Fu annullamento il Secondo conflitto mondiale con gli oltre settanta milioni di morti, come pure fu annullamento l'accettazione di uno stato xenofobo e razzista con le leggi razziali del 1938, come pure fu annullamento il progetto di annientamento attraverso i lager nazisti e con essi le fosse comuni staliniane, quelle cambogiane di Pol Pot, quelle della ex Jugoslavia, quelle del Ruanda, e tra tutto ciò non possiamo non mettere i fondali del Mediterraneo. Net 2014 fino ad oggi, hanno accolto già 3000 morti. 

Ogni anno, in questa occasione, abbiamo ricordato tutti i caduti jelsesi nelle due guerre, quest'anno vogliamo affiancare a questo ricordo quello di un giovane morto in un lager nazista. Diversi sono stati paesani racchiusi nei campi di concentramento nazisti, ma uno solo, Giovanni D'Amico, che non era nato a Jelsi, ma era figlio di padre jelsese, rimase vittima di questa mostruosità umana. Giovanni era capitano in servizio presso il IX reggimento degli alpini quando l'8 settembre, in occasione dell'armistizio, da Gorizia dove si trovava fece ritorno a casa per abbracciare la causa antifascista.

Quindi, nella festa delle forze armate e nel giorno del ricordo dei caduti di tutte le guerre, l'augurio è che ognuno di noi faccia proprio il ricordo delle sofferenze e delle glorie che i nostri avi hanno vissuto nel corso del tempo. Come pure un pensiero di intimo rispetto va ai rappresentanti delle forze armate per il grande e delicato compito che esse svolgono in difesa della nostra Italia. Diciamo così grazie ai rappresentanti delle forze armate presenti a Jelsi. Grazie per la vostra presenza e per la vostra opera, per il vostro esempio. Un grazie va anche al parroco. E' il grazie che sorge spontaneo da questa Terra di Jelsi e perciò è il grazie dell'ltalia! Sia Viva l'Italia! 

5 novembre 2014

lunedì 5 maggio 2014

Pellegrinaggio a Santa Lucia (Sassinoro - BN)

Da sempre le comunità che gravitano attorno alla sponda sinistra del Fortore, come quelle di Jelsi, Riccia, Gildone, Cercemaggiore e altre in provincia di Campobasso,  si recano annualmente in pellegrinaggio al santuario di Santa Lucia di Sassinoro (Bn). In questo santuario si consumano rituali antichi, come raccogliere pietruzze nella grotta della chiesa e strofinarle sugli occhi, attraversare per tre volte al buio la stessa grotta, oppure, stringere legami di comparatico.
Il Santuario ha una sala dedicata agli ex voto.

Pellegrini sul percorso che porta a Sassinoro

L'antico santuario di santa Lucia all'interno 
con pellegrini in fila per l'attraversamento della "grotta"



 

http://filippocarcano.com/

Sito interessante sull'arte sociale, in cui si parla dell'opera di Michele Cammarano, pittore che sviluppò uno stile legato al realismo sociale dell'Ottocento, come si vede ad esempio nel suo Ozio e lavoro del 1863, conservato nella Galleria di Capodimonte a Napoli.