mercoledì 4 novembre 2015




Unità nazionale e Giornata delle Forze Armate 
Monumento ai Caduti
JELSI (Campobasso)
4 novembre 2015 

Il 4 novembre è stata l'unica festa laica italiana, istituita nel 1919, che abbia attraversato indenne i vari momenti politici della nostra Italia, da quello liberale a quello fascista all'attuale repubblicano. È il giorno che ricorda la riappropriazione delle terre italiane occupate dall'imperialismo austro-ungarico, riconquistate il 4 novembre 1918, giorno dell'armistizio, che pose fine alla guerra scoppiata un secolo fa e che rafforzò l’Unità d’Italia
Fino al 1976 questo giorno è stato un giorno festivo così come la festa della Repubblica, il Natale, la Pasqua e tutti gli altri.
 Dal 1977 in poi è stata resa "festa mobile" da celebrare nella domenica vicina al 4 novembre.
Noi quest’anno, pur non essendo domenica, abbiamo voluto ritrovarci in questo spazio in segno di festa, come hanno fatto I nostri avi per quasi cento anni, perché forte abbiamo sentito il bisogno di parlare alle nuove generazioni attraverso la scuola.
Siamo venuti qui al Monumento ai caduti per un grande sentimento di rispetto nei confronti di coloro che hanno donato la propria vita nella guerra. Il nostro è oggi, anche per chi prova nel cuore un forte sentimento di pacifismo, un sentito e doveroso omaggio alla loro memoria.
L’omaggio va reso anche alle Forze armate che dell’Italia sono le custodi della difesa e dell’ordine, ma anche di quello spazio che ci fa sentire popolo abitante di un territorio che è stato dei padri e delle madri, su cui conserviamo i nostri dialetti, le nostre tradizioni, il luogo dove condividiamo gioie e drammi. Qui, in questo spazio, che oggi è carico di festa, di memoria e di dolore, commemoriamo i figli di Jelsi che hanno dato la vita versando sangue nelle acque del Piave, morendo nei boschi o tra le pietre delle Alpi, nei deserti dell’Africa, morendo assiderati con mimetiche estive tra il freddo e la neve della Russia, nelle campagne tra i fossi dilavati dalle piogge invernali dei Balcani e nelle contrade più impensabili delle terre d’Europa. Altri ancora perirono nei campi di concentramento nazisti. Alcuni di loro, anche da morti, non hanno mai fatto ritorno, altri sono stati ritrovati solo successivamente. Qualcuno è stato riportato a casa, altri sono stati seppelliti nei cimiteri militari del Trentino, nel sacrario di Redipuglia in Friuli, di Amburgo in Germania, nelle fosse comuni dell’Austria e, forse, della Russia e tanti altri cimiteri ancora.
Ne abbiamo letto, con riconoscenza, i nomi che ogni anno vengono giustamente e doverosamente ricordati.
Noi oggi siamo qui per commemorare, cioè tenere a mente, fare in modo che non dimentichiamo quanto è stato, ciò che è e che fu.
Lo facciamo in questo luogo, perché è qui che si riannodano i fili della nostra memoria, è qui che passano i fili della tela della nostra Unità di Italiani. È qui che gridano forti le voci di un popolo martire. È qui che sono custoditi i sogni, i desideri e i sentimenti di giovani generazioni che hanno creduto in un mondo migliore, offrendo se stessi.
Queste pietre, attraverso la guida della storia, conservano le urla strazianti della libertà, il lamento funebre e le lacrime calde di madri e di vedove, di figli e di padri, e di chi ha sofferto per gli ideali per un cambiamento.
L’Italia era una ma gli Italiani, dalla caduta dell’Impero romano nel 476 d. C., vivevano in una penisola dove tanti erano i padroni. Perlopiù, gli Italiani erano stati guidati, a volte sfruttati, altre volte immiseriti da famiglie di nobili stranieri, spesso associate o unite da legami di parentela. Solo dopo l’Unità d’Italia e alla fine della Prima Guerra mondiale, gli Italiani sono riusciti ad avere una loro terra. Una Terra presa con lo sforzo estremo di tutti, illuminati dalla ideologia e mossi dalle azioni che caratterizzarono il nostro Risorgimento, per cui gli uomini si sentivano popolo di un luogo, coraggiosi e portatori di una visione nuova del mondo, tanto da offrire la vita. Lo fecero perché avevano fiducia nella loro patria e perché credevano negli ideali dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, in cui erano stati proclamati i diritti dell’uomo e del cittadino, in cui si riconosceva la libertà e la dignità dell’uomo, per cui tutti gli uomini sono uguali e che i rapporti tra le sovranità e i cittadini devono essere regolati da un Contratto o Costituzione.
Ma tutto ciò è costato sangue e vite. Vite di ogni classe sociale, ma soprattutto di masse di contadini e operai.
Non a caso i nostri nonni, le nostre passate comunità, con le loro guide e la loro saggezza, hanno scelto e creato un luogo come questo, uno spazio particolare per ricordare, che oggi possiamo definire di una sacralità unica, laica. Dove la parola laica sta ad indicare sia una rigida separazione tra lo Stato e le confessioni religiose (come succede negli U.S.A. o in Francia) sia una esplicita separazione tra stato e religione, ma con una favorevole accoglienza della pratica religiosa, senza discriminazioni nei confronti delle altre e diverse confessioni (come succede in Italia). Concetto reso ancora più chiaro da Cavour con la frase, "libero stato in libera chiesa".
Questo è un luogo per ricordare i figli di chi siamo e quanto è stato fatto, quante parole, quanto sudore e soprattutto quanto sangue è stato versato per essere cittadini di oggi. Cittadini, cioè coloro che abitano la città, quel luogo dove si conserva la vita.
Perciò ricordare non è solo un dovere morale, ma è soprattutto un dovere civile. Uno di quei doveri senza il cui assolvimento non possiamo reclamare i diritti. Ma spesso abbiamo la memoria corta, perciò la storia, i monumenti e i luoghi come questi ce lo ricordano. È la storia che guida il futuro. Un domani senza l’oggi e senza lo ieri non può esistere.
Un’evidenza scientifica ci dice che per quanto riguarda l'evoluzione umana, da un punto di vista fisico e quindi organico, non si regredisce facilmente. Al contrario, da un punto di vista culturale e quindi del sapere, della conoscenza, noi possiamo regredire nel giro di qualche generazione. Questo ci deve far capire che senza ricordo, senza educazione e senza scuola, noi torneremo ad essere degli animali allo stesso modo di come lo sono le scimmie, ma anche più violenti.
Ricordando le Forze armate, è bene sottolineare quanto esse siano state strategiche nel miglioramento della nostra civiltà, a volte anche sbagliando, e quanto sia stata importante nel corso dei decenni la loro difesa del territorio.
Ma come noi oggi dobbiamo difendere la nostra casa? Qual è il ruolo delle Forze armate a cui noi oggi rendiamo omaggio?
A tale proposito, è di fondamentale importanza ricordare il cardine della nostra esistenza civile. Il punto di arrivo ma anche di partenza di un mondo civile e civilizzato, dove la regola è la garanzia fondamentale della coesistenza tra esseri umani. Esso è l'art. 11 della nostra Costituzione, che dice: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo." Quindi le controversie tra gli stati e le privazioni di libertà tra gli uomini vanno risolte pacificamente e con l’intervento di organizzazioni sovranazionali. È da questo principio fondamentale che dobbiamo partire per comprendere come in Europa da circa settant'anni non ci sono guerre.
La scrittura della nostra Costituzione e con essa l’elaborazione dell’art.11 è avvenuta nel periodo appena dopo la Seconda guerra mondiale, quando l'Italia era in ginocchio e gli italiani avevano capito sulla loro pelle il senso del disfacimento umano arrecato dalla guerra. Tanto che un protagonista di quell'apocalisse, Sandro Pertini, ben conscio dei mali che la guerra aveva arrecato, ha gridato, da Presidente della nostra Repubblica, "Chiudete gli arsenali e aprite i granai".
È grazie all'articolo 11 che il nostro stato ha potuto costruire, attraverso un intreccio di regole con le leggi delle istituzioni mondiali, quell'ordinamento internazionale che gli ha permesso di partecipare alla creazione di un ordinamento mondiale più giusto, che potesse esprimere i valori fondamentali che sono alla base della vita democratica.
Sono gli stessi valori dell’ ONU e della UE.
È su questa base che l'Italia, nel dicembre del 1955, ha aderito all'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), che già si era costituita nell'ottobre del 1945, il cui obiettivo era quello di mantenere la pace nel mondo. Ed è su questo principio che, prima di ogni altro stato, l'Italia ha anticipato e fornito le indicazioni fondamentali che oggi si trovano alla base dell' Unione Europea. Difatti questo principio, come abbiamo detto, già presente nella Costituzione italiana, è stato ripreso sia allorquando è nata la Comunità Europea nel 1951 sia con il Trattato di Roma nel 1957. Tutto è stato ribadito nella scrittura della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata in occasione del Consiglio di Nizza del 7 dicembre 2000. Dove, nel preambolo di questo documento, si dichiara che i popoli europei, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, decidono di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.
Se la comunità internazionale oggi ha un diverso orientamento, volto a legittimare gli interventi, anche militari, nei confronti di alcuni stati, questo succede solo e soltanto perché vengono fuori emergenze umanitarie, come in Siria, oppure si evidenzia una palese violazione dei diritti umani (deportazioni, genocidi, stupri etnici).
Il nostro auspicio è che le azioni di forza siano sempre condotte sotto l'egida di un'organizzazione internazionale e siano impedite a quegli stati che decidono azioni di forza unilateralmente, anche se per fini umanitari.
Il nuovo Presidente dello Stato, Mattarella, in occasione del discorso per il suo insediamento, ha messo in forte evidenza il ruolo fondamentale delle Forze armate per la pace. Pertanto a tutti coloro che hanno lottato e lottano per la pace va il nostro pensiero, pensiamo al disagio dei fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ricordiamo tutti quelli che nelle varie missioni militari hanno perso la loro vita, dai militari della strage di Nassiriya a tutti coloro che per portare la pace sono stati uccisi, tra questi il caporale maggiore molisano morto in Afganistan Alessandro Di Lisio. Come pure non dobbiamo dimenticare quei semplici cittadini e quei giornalisti che nel corso degli anni sono stati uccisi mentre svolgevano il loro lavoro e la loro lotta, con la penna e le immagini, sia per informarci sulle guerre del mondo sia per denunciare i traffici illeciti e i mali della nostra società. Il nostro pensiero va, quindi, a tutti coloro che, nel sacro dovere per contribuire alla costruzione di un mondo migliore, sono arrivati a sacrificarsi, donando la propria vita per il nostro Paese e la nostra civiltà.
Nel salutarci, diciamo grazie ai rappresentanti delle forze armate presenti a Jelsi. Ricordando il lavoro delicato che loro svolgono sul territorio. Un grazie va a tutta la Scuola, agli alunni che hanno partecipato attivamente e hanno prestato ascolto, la cui presenza è stata preziosa. Saranno loro le nuove generazioni che raccoglieranno il testimone. Grazie agli insegnanti, che con il loro lavoro, il loro esempio e la loro testimonianza riusciamo a far sì che i valori della nostra società e il racconto della storia possano essere conservati e consegnati alle nuove generazioni. Un grazie va anche all'autorità religiosa, al parroco, che con la sua opera di condivisione e di elaborazione dei drammi umani riesce ad alleviare il dolore delle nostre famiglie.
E' il grazie che sorge spontaneo da questa Terra di Jelsi e perciò è il grazie dell'Italia e del mondo civile di cui noi tutti siamo custodi!

Viva l’Italia!
Comune di Jelsi