sabato 5 novembre 2016




Monumento ai Caduti
JELSI (Campobasso)
4 novembre 2016

Questa Giornata dell'Unità Nazionale, delle Forze Armate  e delle vittime della guerra è stata istituita nel 1919 per commemorare la vittoria italiana nella prima guerra mondiale che viene ricordata ogni 4 novembre, data dell'entrata in vigore dell'armistizio di Villa Giusti a Padova. Con la vittoria, l'Italia completò anche l'unità nazionale con l'annessione di Trento e Trieste. Città, quest'ultima, che dopo alterne vicende all'indomani della fine della II guerra, con il Trattato di Parigi (1947) prima, con il Memorandum di Londra nell’ottobre 1954 e con il Trattato di Osimo del 1975 poi, divenne definitivamente italiana. Tanto che, con legge costituzionale del 1963, veniva istituita la regione Friuli-Venezia Giulia con capoluogo Trieste.

Questa è l'unica festa nazionale che abbia attraversato decenni di storia italiana: dall'età liberale, al fascismo, all'Italia repubblicana. Possiamo dire che il sangue versato dai nostri soldati dal Carso a Cefalonia, dalle vittime delle stragi naziste a quelle per mano dei terroristi dell’ISIS, è quello che ancora unisce forte gli Italiani.
Oggi le massime cariche dello Stato rendono omaggio al Milite Ignoto, la cui salma riposa presso l'Altare della Patria a Roma. L’atto di rispetto è per quel sangue versato che non ha un nome e non ha avuto un prezzo se non quello della vita. Il soldato  scelto tra altri irriconoscibili per le ferite fu tumulato il 4 novembre del 1921 da allora è sempre vigilato da un picchetto d'onore e da due fiamme che ardono perennemente. Questa tomba ricorda tutti i soldati morti in guerra e mai identificati. 
Il sangue versato per un’idea per un credo è segno di martirio, di dono della propria esistenza per un mondo che si spera sia migliore. 
Oggi ci si reca in visita anche al Sacrario di Redipuglia, dove sono custodite le salme di 100.000 dei 689.000 caduti italiani della prima guerra mondiale, mentre 71 090 060, tra soldati e vittime civili, sono quelli caduti nella seconda guerra.

L’eredità che ci hanno lasciato questi uomini è stata la libertà di vivere in uno spazio in cui siamo consapevoli che con le nostre scelte, giuste o sbagliate che siano, siamo protagonisti assieme come italiani del nostro futuro, dei nostri traguardi e delle nostre sventure. 
In questo giorno il nostro pensiero deve andare anche verso tutti quelli che con il loro sacrificio hanno fatto grande questo nostro Stato. Bene ha fatto nel 2014, per la prima volta in questa ricorrenza, l’ex Presidente della Repubblica Napolitano che pubblicamente ha commemorato anche coloro che, negli anni, hanno perso la vita per la sicurezza e la pace del nostro stare assieme. Ha detto, “In un mondo che manifesta tensioni e instabilità crescenti, si vanno affermando nuove e più aggressive forme di estremismo e di fanatismo che rischiano di investire anche l’Europa, e l’Italia in particolare, infiltrandone gradualmente le società. È una minaccia reale, anche militare, che, insieme all’Unione Europea e alla Nato, dobbiamo essere pronti a prevenire e contrastare". La sua era una riflessione che metteva in evidenza chiaramente quanto l’UE dovrebbe fare per rafforzarsi come istituzione e come forza. L’UE oggi ha scarsa capacità di organizzare una Forza che sia in grado di intervenire in aree critiche attraverso un intento comune. La speranza è che rappresentanti di questo grande sogno contemporaneo trovino la strada per unire maggiormente i popoli che essi rappresentano. 
Riflettendo sulle Forze armate oggi, bisogna comunque porsi delle domande sul ruolo che esse hanno nella nostra società. Ci stiamo abituando sempre più a delegare scelte che invece devono essere figlie di una nostra responsabilità matura che porta alla condivisione del fare civile. Il rischio è che possa venire a mancare la consapevolezza di ciò che deve essere “difesa” o “aiuto civile” oggi. Spesso si ha l’illusione che fin quando si è isolati e fuori dalla portata dei grandi flussi umani e sociali si è sicuri, ma sappiamo molto bene che difendersi oggi significa comprendere e sapere accogliere e aiutare, e collocare ciò che è nuovo e prodotto da situazioni critiche. Da sempre in questa commemorazione abbiamo messo l’accento solo sulla commemorazione dei caduti in guerra, ed è giusto che sia così, perché il sangue versato è stato il sangue del nostro sangue, ma bisogna cominciare a capire che non basta difendersi solo da guerre convenzionali e che oggi lo sforzo più grande è il contenimento di quello che esse mettono in moto, e non basta, perché una società avanzata non può lasciarsi andare a conflitti fini a se stessi, ma deve sforzarsi di trovare soluzioni pacifiche. 

Oggi più che mai, la pala di un pompiere, il montaggio di una tenda di un soldato o di un volontario della protezione civile, o ancora la visita di un medico o il salvagente di un marinaio, sono armi ancora più potenti di tante armi spianate e fumanti nelle terre sparse della nostra Terra. Il buongiorno, l’attenzione e la comprensione delle sventure altrui di un paesano nei confronti di un profugo sono un’arma ancora più potente di un no o di un sì detto per partito preso. L’aiuto prestato ad un anziano, solo e che ha figli emigrati e che lavorano lontano, guariscono più di tante medicine. L’esempio di un politico è più potente di tante frasi urlate in tribune in TV. 
È in quest’ottica che, offrendo un anno di lavoro allo Stato, viene prestato il servizio civile. Oggi non è più un servizio sostitutivo del servizio di leva, ma rimane un aiuto importante soprattutto nei piccoli paesi, sia nel prestare attività svolgendo incarichi di assistenza e di utilità sociale sia nel fare promozione culturale. Esso nasce da una profonda consapevolezza delle passate generazioni che vedevano il tramonto della guerra convenzionale sostituita dalla guerra atomica. Il diritto all'obiezione di coscienza è stato riconosciuto per la prima volta nel 1972, ma solo nel 1998 è stato riconosciuto definitivamente come diritto della persona.

Noi come popolo italiano stiamo facendo tantissimo e tanto ancora ci rimane da fare nella difesa delle nostre comunità. La nostra sensibilità e attenzione, nonostante tutto, ci ha contraddistinto nel tempo e penso continuerà a distinguerci. Stiamo puntando sulle giovani generazioni, nonostante queste si trovino in uno stato estremamente critico. Stiamo perdendo molte loro energie. Sono le uniche che ci possono aiutare a dare un senso di trasparenza e fiducia nel futuro, perché vediamo che ciò che è stato prodotto dalle generazioni passate non basta a rendere la nostra realtà a loro portata. Abbiamo perso negli anni la capacità di farle rimanere con noi. Purtroppo una battaglia per favorire la loro permanenza è stata persa se centinaia di migliaia di giovani emigrano in altri paesi. Se responsabili delle strutture amministrative dello stato hanno mostrato sfiducia nel modo di gestire le nuove generazioni, qualcosa nel nostro Stato non ha funzionato. Quindi, quando pensiamo alle guerre è bene pensare anche a quelle guerre interne: sia a quelle mascherate di perbenismo che spesso ci divorano, sia a quelle che hanno instaurato governi paralleli deviati e mafiosi che hanno portato a una rottura nella fiducia dello Stato e a una difficoltà nelle scelte per un’organizzazione migliore della nostra società. Pertanto, anche attraverso l’educazione alla legalità ci si augura, dopo le sventure passate, di recuperare quel senso di essere cittadini, fiduciosi nelle scelte politiche, sereni nelle scelte del lavoro e liberi e solidali nel partecipare alle sfide del futuro.
Pensando all’Italia, oggi non possiamo ragionare pensando solo al nostro microcosmo. Il fronte del male, a partire dal terrorismo fino ad arrivare a tutti i mali di cui è protagonista il nostro pianeta, è ampio e non possiamo pensare che ci sia un fustigatore o uno sceriffo del mondo in grado di offrire soluzioni o ricette in grado di dare protezioni. Neanche possiamo metterci al suo posto, ma nel nostro piccolo, attivandoci con tutte quelle che sono le organizzazioni mondiali, dobbiamo trovare la forza morale e le energie della diplomazia e del soccorso per riportare esseri umani e comunità del mondo alla riflessione e al bene dei popoli. 

Ricordiamo che gli Stati coinvolti nelle guerre sono 67, mentre il totale tra Milizie di guerriglieri e gruppi terroristi-separatisti-anarchici sono 734.

AFRICA:
(29 Stati e 214 tra milizie-guerrigliere, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti)
ASIA:
(16 Stati e 169 tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti)
EUROPA GEOGRAFICA:
(9 Stati e 80 tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti)
MEDIO ORIENTE:
(7 Stati e 244 tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti)
AMERICHE:
(6 Stati e 26 tra cartelli della droga, milizie-guerrigliere, gruppi terroristi-separatisti-anarchici coinvolti)

Dal 2007 al 2015, le vittime nel mondo per il terrorismo sono sono 291.888,  solo nel 2015 sono state 35.320(1), sempre in questo anno in Europa continentale sono state1550 (2).  Questo ci fa intendere il pericolo a cui siamo sottoposti e quanto dobbiamo adoperarci per far fronte a questa problematica.
Certamente, queste sono cifre per modo di dire incomparabili alle decine di milioni di morti delle guerre mondiali, ma noi qui stiamo a difendere la vita, così come è stato sempre fatto nel ricordare chi per noi ha dato la sua. 
In questa occasione, oltre a salutare i reduci ancora in vita, il centenario Francesco Zilembo e Giuseppe Santella, vogliamo ricordare la grande opera dell’insegnante, tenente colonnello, Antonio D’Amico. Il quale, nel corso degli anni passati, con estrema attenzione e smisurata riconoscenza e affetto ha saputo raccogliere, riordinandoli nella memoria, nomi e fatti relativi alle guerre mondiali, che altrimenti sarebbero andati perduti. Ha donato le sue energie a questa comunità portandola, in un coro di dedizione e di amore per la propria terra, a migliorare e a farla crescere. Qui è venuto ogni anno e ha parlato da testimone e da reduce di quella che fu una delle più brutali pagine della storia umana: la seconda guerra mondiale. La nostra riconoscenza in questo giorno va anche a lui, che ha saputo tenere alto il calore sacro della difesa dei valori della propria terra, che è anche quello della propria patria. Con il cuore pieno di dolore si è portato ogni anno sotto queste pietre per leggere di persona i nomi, scritti alla base del nostro obelisco, dei suoi compagni e di chi ha lottato fino all’ultimo per il bene dell’umanità.  

Diciamo così grazie, a nome di tutto il paese, del quale loro sono ancora parte viva, ai rappresentanti delle Forze armate presenti a Jelsi, ai carabinieri e ai forestali, per il lavoro meticoloso e pericoloso che loro svolgono. Grazie a chi si è reso disponibile a soccorrere le persone colpite dal terremoto e in qualsiasi occasione di difficoltà. 
Un grazie va a tutta la Scuola, agli alunni che hanno partecipato attivamente e hanno prestato ascolto, la cui presenza è stata preziosa. Sono loro che raccoglieranno il nostro testimone. Grazie agli insegnanti, che con il loro lavoro, il loro esempio e la loro testimonianza, riescono a far sì che il senso della nostra esistenza e il racconto della storia abbiano maggiore valore.
Grazie allo SPRAR, ai profughi che hanno rischiato la loro vita per approdare su una terra per loro pacifica e agli operatori che sono in trincea a contenere e arginare la crisi umanitaria. Grazie al parroco, che con la sua guida spirituale ci dà forza e sostegno.


È il grazie della terra dei padri, e perciò è il grazie dell'Italia!

W L’ITALIA
Amministrazione comunale


(1) https://www.statista.com/statistics/202871/number-of-fatalities-by-terrorist-attacks-worldwide/

domenica 26 giugno 2016

Gli Inglesi si pentiranno del "leave"?




Ho da sempre creduto nella EU, da quando è nata. E devo  confessare che conoscendo in parte il popolo britannico il suo voto "leave" (uscita), per non far parte della EU, non mi stupisce per tante ragioni. Soprattutto, gli Inglesi sono un popolo che ha un forte senso di appartenenza alla propria isola, alle proprie tradizioni e alla propria cultura. Gli Inglesi sono legati a riti e a modi di fare e di pensare che li rende unici e "vittime" del loro stesso modo di esistere. Sono poco propensi a mettere in discussione le loro regole. Hanno da sempre dominato il mondo, rendendolo anche meglio, ma sono rimasti sempre legati alla loro isola, alla loro idea di Terra: luogo lontano, ordinato secondo strutture fisiche e mentali, di cui la lingua ne è lo specchio rivelatore. L'inglese di Oxford e Cambridge non subisce forti contaminazioni da millenni. Al contrario degli Americani, non hanno mai sopportato l'idea di aprirsi ad altre culture se non da padroni, men che meno ad una cultura europea dove l'azione politica e quella umana sono da considerarsi alla pari. Hanno accettato di fare mercato con il resto dell'Europa mettendo a disposizione la loro Terra ma solo per far sì che crescesse quel modello economico che, assieme all'America, all'indomani della fine della seconda guerra, era stato messo in atto ed era stato riconfermato e potenziato durante la guerra fredda. Un modello che è stato messo in discussione con la rottura delle barriere a Est che, contemporaneamente all'ingrandirsi dell'Europa, è stato sostituito da un modello internazionale legato ad un'economia basata prima di tutto sulla finanza. C'era da aspettarselo che gli Inglesi primo o poi uscissero dall'UE,  la non adesione all'euro ne è stato un altro segno. Già da allora gli Inglesi non si fidavano di un sistema monetario dove la loro moneta fosse cambiata da un'istituzione finanziaria che non sarebbe stata la loro e solo la loro. La sterlina non poteva essere contrappesata da una moneta senza radici, da qualcosa che andasse oltre il loro pensiero "pesante" legato alla propria tradizione. Se analizziamo bene, quelli che dissero no all'euro, sono gli stessi inglesi che oggi hanno votato no al "remain",  e questa scelta in molti casi l'hanno motivata come una scelta fatta per il bene delle future generazioni. Si ha l'impressione che il risultato di questo ultimo referendum altro non è che l'espressione di un carattere legato più a una questione antropologica che a una convinzione razionale. È difficile capire le ragioni di chi ha votato per lo strappo dall'EU, quando viene giustificato che è stato fatto per il bene delle future generazioni e quando i giovani erano d'accordo per rimanere in Europa. Mi sorge il dubbio, non è che quel carattere un po'inglese di prendere per il guinzaglio i cagnolini sciolti e di pretendere da essi la caccia alla volpe, stavolta non abbia funzionato, e che quel giochino fatto da Cameron quando, appena dopo il referendum sull'indipendenza della Scozia nel 2014, diceva: "A Londra troppi italiani fermateli o lasceremo l'UE", pensando di ricattare le autorità europee attraverso la debole Italia, si sia ritorto contro?
Penso che con quest'ultimo referendum, la popolazione di sua Maestà si sia persa l'occasione per creare assieme a noi Europei una nuova realtà geo-politica e che ciò, paradossalmente, stia stimolando il rinnovamento di quell'architettura della EU, la quale può essere la sola realtà in grado di superare la confusione e l'annientamento di un'area nel passato teatro di grandi conflitti: un'istituzione pacifica in grado di competere con un mondo in evoluzione.
Gli Inglesi con calma usciranno dall'Europa così come vi sono entrati, senza troppi benefici ma anche senza danni.  Non hanno mai voluto rischiare tanto e poco intascheranno. Rimarranno sempre nella loro isola e ci meraviglieremo,  andandoli a trovare, della tanta diversità. Forse andremo a studiare le lingue nelle loro università per il gusto di dire che sappiamo parlare un buon inglese, ma se vogliamo fare poco gli esibizionisti e più economia ci basta imparare l'inglese di Malta o quello americano.  Ci ritroveremo con giovani inglesi un po' rammaricati e un po' invidiosi di non far parte di una realtà europea. Gruppi di Hooligans possono venire a fare baccano nelle nostre città e forse dovremo sopportarli e comprenderli come quelli olandesi. Faremo una gita a Londra per Natale e una sul Tamigi, se ce lo permetteranno, e così via. Una cosa è certa, nonostante le paure e le incertezze nell'amministrare la Casa comune europea, nonostante le pressioni e le pretese dei Tedeschi, nonostante i pensieri nazionalisti di paesi entrati dopo di noi e dei Francesi e nonostante tutti i caratteri residuali degli altri popoli europei, rispetto a una dimensione nuova e viva, quella di creare una forte unione di popoli rimane l'unica grande realtà che non può morire, in un mondo problematico di per sé,  anche a dispetto di gruppi di isolazionisti, di persone poco informate, di politici speculatori e di facinorosi.
Inoltre mi chiedo, a conclusione di questi miei pensieri, non è che gli Inglesi già si sono pentiti di quello che hanno fatto?

lunedì 25 aprile 2016

Da: Viaggio dell'abate Longano per la Capitanata, di Francesco LONGANO, in Napoli, MDCCXC, presso Domenico SANGIACOMO


14. Vessazioni di Ministri Baronali.
Alla prima i tanti dritti proibitivi di molini, di trappeti comprati, o usurpati, le tante angarie, e parangarie per tal modo inquietano, e perturbano i campagnuoli , ch' essi avviliti vivano con somma molestia e noja. All'angustie di non poter estrarre l'oglio, valicare , o tingere i panni, macinarsi il grano, macerarsi il lino, vendere le sue derrate, tagliarsi un arbore, pascolare i proprj bestiami si aggiunge anche la molestia di tanti esecutori, sempre avidi , e sempre rapaci. In tale stato un povero colono consumato dalla fatica, tribolato dall'inedia, e da famiglia numerosa aggravato, quale risentimento può fare contra persone potenti nella Regia Udienza, e nella istessa Capitale ?

15. L' idea ignominiosa scioccamente attaccata a quest' arte anche ritarda il suo progresso.
Subito, che la somma potestà venne tra le mani di uno, o di molti rapprepresentanti, si venne a formare una classe di oziosi, la quale è riputata come un propugnacolo, ed una rocca del Trono. Da ciò nacque una quasi separazione de popolo, diviso in nobili, e in plebei. Arricchito il primo ceto collo spoglio de' plebei, cominciò a insolentirsi, e a riputare i campagnuoli tanti vili giumenti destinati a formare la loro opulenza, e a soddisfare ai loro smoderati desiderj. Di quì l'abbiezione della gente di campagna, e il suo massimo avvilinento. In oltre dopo, chè i Romani furono corrotti col lusso dell'Asia ebbero a vile l'esercitare più la vita campestre, l' abbandonarono in mano degli schiavi, per cui anche divenne ignominiosa, vile, ed abbietta. Né questo è tutto. Tosto che un giovinetto anche figlio d'aratore, o di cantiniere sia stato pochi mesi in Napoli, ritornato nel proprio Paese laureato in medicina, o in legge, o in altro, odia a morte la campagna co' tutti i campagnuoli, e gli infama co' nomi di Villani, di Cafoni, di Coppolini . Di qui è, che gli inimici più aspri sono i privileggiati poveri ed ignoranti; i predatori impuniti delle università, e de' luoghi pii, gli apostati della fatica rurale. (Pp. 123, 124, 125, 126)